Dicono di noi...

Qualche angelo deve guidare con la sua lieve mano quella di Armando Vocaturi, artigiano del ferro. Non dovete pensare o immaginare un qualunque forgiatore o battitore pur abile, pur artisticamente dotato. Vocaturi ha una marcia in più,una lievità di tocco e fantasia che lo apparentano in qualche modo all’esperto di lavorazioni sofisticate.

Fa piacere entrare nella sua bottega lievemente spartana, graziosamente civettuola, di via Bava 5. Pendono dai soffitti lampadari che paiono merletti e sul pavimento poggiano letti e sedie in ordine volutamente stanco pezzi d’antiquaria golosità, frammenti di cose di ieri, che in mano sua, solamente lo volesse, assumerebbero garbato decoro su mensole fastose o tavoli pregiati.
Non chiedetegli impegni, non suggeritegli soluzioni rivistaiole da carta patinata: lasciatelo fare e se lo coglie simpatia vi farà un dono d’estro che supera l’aspettativa (opportunamente remunerato, poiché lo merita) da rassegnare alle esclamazioni invidiose degli amici.
Vocaturi oltre che protetto dagli angeli (ma è un nostro non controllato convincimento) ha attinto linfa su due filoni che gli danno forza: l’origine in quel di Sibari, e già il nome evoca antichissime suggestioni di meridionalità feconda, animata da vini profumati, da aspri respiri di terra ubertosa e da marine smemoranti; e da un severo apprendistato, dal ’59 al ’70 a bottega del principe degli antiquari, Accorsi, che in via Po, negli anni dorati del suo incontrastato magistero, dava lavoro e impartiva insegnamenti.
Si spiega così come il Vocaturi di Sibari sia oggi a Torino uno dei migliori interpreti (nel suo settore, s’intende) del Settecento piemontese.
Le appliques leggerissime e dipinte, i lampadari lievi come nuvola sono il risultato di intelligenza e apprendistato umile.

Se lo cerca Luca Ronconi, di palato difficile, quale magistrale fornitore di apparecchiature per una “Medea” di gran sapore registico, un motivo c’è. Se a Casale, Vocaturi vanta la collocazione di uno straordinario lampadario e dell’arredo illuminante, nel Teatro locale, un motivo c’è. Se certi cancelli che sanno più di intarsio che di pura fatica, aggiungendo ringhiere barocche, ornamenti di uguale epoca, un motivo c’è: nel senso che committenti a vasto raggio gli riconoscono arte e ruolo non per diritto ma per storia e ingegno personali.
Unico rammarico: la difficoltà di allevare qualche giovane a cui trasmettere un’arte che appartiene almeno al figlio Enrico. Vorrebbe che di lui restasse un’eredità diffusa ma come tanti artigiani soffre di trappole che condannano all’estinzione anziché incentivare il mestiere. Auguriamogli lunga vita in attesa di tempi migliori. (p.p.b.)

La Stampa, Torino 7 luglio 1995

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L’intervista a Enrico e Armando Vocaturi